L'acquisizione del Credit Suisse - contesto e prospettive  

La stabilità della piazza finanziaria svizzera è di rilevanza fondamentale per l’intera economia elvetica. L’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS e le misure adottate dalle autorità nazionali rappresentano un evento di portata epocale per la piazza finanziaria svizzera. Dal punto di vista dell’Associazione svizzera dei banchieri (ASB) si tratta di un intervento mirato ed efficace per garantire la stabilità della piazza finanziaria elvetica e rafforzare il clima di fiducia. In questa pagina tematica l’ASB prende posizione sulla soluzione raggiunta, nonché sulle attività e sulle questioni di attualità sul piano politico.

Posizione dell’Associazione svizzera dei banchieri

  • Il quadro normativo attualmente vigente a livello nazionale, messo a punto nell’arco dello scorso decennio, è sostanzialmente efficace. Ciò è dimostrato proprio dal fatto che l’episodio di Credit Suisse è l’unico in cui una banca, per quanto importante, è scivolata in difficoltà. E, allo stesso modo, ciò è dimostrato dal fatto che la solidità di UBS, fondata sul quadro normativo vigente, ha reso possibile l’acquisizione di Credit Suisse in sinergia con ulteriori misure accessorie varate dalle autorità competenti. UBS e le altre banche in Svizzera, oltre 230, sono nel complesso stabili e solide, e svolgono quotidianamente un lavoro formidabile per la propria clientela; godono di piena fiducia, generano un gettito fiscale miliardario, provvedono alla formazione professionale di migliaia di giovani, sono fonte di innovazione e contribuiscono a indirizzare i flussi finanziari sui binari della sostenibilità.
  • Il settore finanziario svizzero costituisce un pilastro fondamentale per l’intero tessuto economico e per il benessere della popolazione elvetica e deve continuare ad esserlo anche in chiave futura. Ed è per questo che la piazza finanziaria necessita di un quadro normativo altamente concorrenziale a livello internazionale.
  • Innalzamenti indiscriminati dell’asticella dei requisiti, senza un’attinenza specifica alla problematica, mancano del tutto il bersaglio, frenano l’attività economica e riducono il livello di benessere. Sulla scorta dei fatti finora acclarati non sussiste pertanto l’esigenza di un aumento generalizzato dei requisiti in materia di fondi propri. Ciò che invece è urgentemente necessario è un’analisi mirata dei fattori interni ed esterni a Credit Suisse che hanno fatto sì che le risorse finanziarie dell’istituto fossero zavorrate da numerosi elementi, in parte con effetto prociclico.
  • In ogni caso è necessario prestare attenzione affinché le misure prese in esame contrastino i problemi specifici individuati, siano attuate in misura proporzionale, si orientino al principio «same risk, same rules» e siano coordinate sul piano internazionale.
  • È quindi essenziale comprendere le cause del collasso di Credit Suisse, affinché sia possibile mettere a punto soluzioni per ovviare ai fattori che hanno contribuito palesemente al tracollo. In questo senso è necessaria una prospettiva temporale di lungo periodo, in quanto la reputazione della banca e la fiducia nelle capacità del Consiglio di amministrazione e del Consiglio direttivo di riportare l’istituto su una traiettoria di redditività in maniera sostenibile non si sono deteriorate dall’oggi al domani, bensì si è trattato di un processo strisciante incancrenitosi nel corso degli anni. Sulla base delle informazioni a sua disposizione, l’ASB giunge alla conclusione che le cause determinanti per il crollo di Credit Suisse sono riconducibili a una lunga sequenza di decisioni errate all’interno della banca, tradottesi in un modello d’affari non sostenibile, un’ottimizzazione finanziaria troppo accentuata per linee interne al Gruppo, mancanza di trasparenza e cultura del rischio lacunosa, unitamente a una carenza di continuità a livello dirigenziale.
  • Il ruolo di FINMA e BNS e il loro approccio alla gestione di questi sviluppi a lungo termine devono essere oggetto di analisi. Alla luce di questa crisi si rende infatti necessario esaminare nella loro totalità e complessità una serie di fattori quali il quadro normativo attuale, i metodi contabili applicati, il comportamento del management della banca nelle interazioni con le istanze di vigilanza, l’interrelazione tra BNS e FINMA, gli strumenti da esse adottati e i relativi interventi. Al contempo, tuttavia, l’ASB considera gli accadimenti di ottobre 2022 come il punto chiave per l’acquisizione di elementi rilevanti sull’interazione tra Credit Suisse e autorità competenti. La fase acuta della crisi di Credit Suisse ha inoltre evidenziato che l’attuale repertorio della BNS era insufficiente, sia in relazione agli strumenti disponibili, all’accettazione e alla presenza di garanzie, sia eventualmente anche sul piano della comunicazione. 

Analisi degli eventi

Che cosa è successo?

La piazza finanziaria svizzera ha vissuto nella primavera 2023 un autentico punto di cesura: da un lato, nonostante condizioni macroeconomiche in parte impegnative, praticamente tutte le banche elvetiche hanno comunicato un solido andamento degli affari per l’esercizio 2022; pur considerando la flessione accusata da Credit Suisse, il risultato operativo di tutte le banche attive in Svizzera è stato pari a CHF 70,2 miliardi, ovvero solo di poco inferiore all’anno precedente che a sua volta era stato il migliore dalla crisi finanziaria. Durante lo scorso anno il livello complessivo dell’organico in tutto il settore è addirittura aumentato dell’1,6%. Questo andamento favorevole delle attività operative consente alle banche in Svizzera di consolidare costantemente la propria base di capitale e affiancare la propria clientela nell’ulteriore sviluppo dei suoi affari e nella capacità di cogliere le opportunità offerte dalla trasformazione sostenibile e digitale. Il settore bancario ha quindi iniziato il 2023 su basi molto solide e da allora questa tendenza è proseguita ulteriormente, con risultati semestrali generalmente positivi. Dall’altro lato, tuttavia, la seconda maggiore banca del Paese è stata investita da una crisi di portata tale da renderne necessario il salvataggio nel fine settimana del 19 marzo con un’azione congiunta delle autorità competenti e di UBS. Per quanto questo energico intervento abbia preservato la stabilità finanziaria e la continuità nella fornitura dei servizi finanziari a favore dell’economia e della popolazione, al contempo si pongono tuttavia importanti domande sul tracollo di Credit Suisse.

Sebbene gli accertamenti dettagliati sulle cause della crisi e sulla relativa gestione da parte sia della politica e delle autorità, sia di UBS/CS non siano ancora conclusi, ad oggi appare già chiaro che una concatenazione di decisioni assunte all’interno di Credit Suisse ha portato nel corso degli anni a un punto di elevata vulnerabilità imputabile a colpa propria. Soprattutto dopo i casi Archegos e Greensill le minusvalenze finanziarie e la perdita di fiducia verso il modello d’affari della banca e infine verso la stabilità della stessa si sono acuite in misura tale da comportare varie ricapitalizzazioni, pesanti perdite di margine di manovra e infine una vera e propria corsa agli sportelli (c.d. bank run), con due ondate violente a ottobre 2022 e marzo 2023. La concomitanza tra l’estrema vulnerabilità di Credit Suisse e vari fattori esterni ha innescato una spirale inarrestabile, alla fine della quale il management non è stato più in grado di garantire la sopravvivenza dell’istituto soltanto con le proprie forze. I mercati finanziari si sono resi conto al più tardi nel 2021 che le prospettive per Credit Suisse si stavano deteriorando in maniera minacciosa, ma vi sono chiari segnali del fatto che le origini del tracollo affondano le proprie radici già negli esercizi precedenti. Questi sviluppi nel corso degli anni si sono verificati in seno all’attuale quadro normativo e contabile, sotto la vigilanza corrente di molteplici istanze quali il Consiglio di amministrazione di Credit Suisse, le organizzazioni di revisione contabile, l’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari (FINMA) e la Banca nazionale svizzera (BNS).

Che ruolo hanno la fiducia e il prestatore di ultima istanza?

Le banche adempiono al compito economicamente rilevante della creazione di denaro. Questo sistema di riserva frazionaria («Fractional Reserve Banking»), diffuso e utilizzato con successo su scala globale, è estremamente efficiente in termini macroeconomici, ma proprio per la correlata funzione di trasformazione di un bilancio bancario comporta anche dei rischi; l’improvviso prelievo di una parte considerevole dei depositi può infatti sfociare in una grave crisi. Il compito della creazione di denaro comporta quindi per sua natura dei rischi per tutte le parti coinvolte, per quanto nel complesso sia di grande utilità per l’intero tessuto economico. Per fare fronte a questi rischi le banche devono detenere sufficiente liquidità e mezzi propri; inoltre, il management degli istituti deve garantire la sostenibilità del modello d’affari adottato e la solidità del proprio apparato di gestione del rischio. Tuttavia, anche in caso di adempimento di tutti i requisiti e nonostante una gestione sostenibile, possono verificarsi situazioni in cui i deflussi di liquidità sono tanto intensi che risulta necessario un intervento da parte della banca centrale nel suo ruolo di «lender of last resort». La funzione della BNS come prestatore di ultima istanza è quindi chiaramente parte integrante di un sistema di riserva frazionaria. Se tuttavia a causa di una crisi individuale si profila la minaccia di una crisi sistemica che può comportare gravi conseguenze sul piano macroeconomico, è essenziale che la BNS disponga di un «repertorio di strumenti» utilizzabile in maniera immediata, flessibile e su ampia scala sul piano finanziario e anche della comunicazione per poter scongiurare i rischi sistemici o contenerli in maniera tempestiva.

In ogni caso, in un sistema di riserva frazionaria la fiducia è un fattore essenziale; una perdita di fiducia può infatti comportare conseguenze fatali. Questa considerazione è peraltro ben nota e, di conseguenza, la verifica in via continuativa della fiducia da parte di investitori, creditori e clienti nei confronti di una banca rientra coerentemente nel perimetro delle mansioni delle autorità di vigilanza, a complemento del monitoraggio sia dei parametri di capitalizzazione e di liquidità, sia di ulteriori aspetti. Poiché la fiducia non è tuttavia quantificabile con esattezza, per le autorità di vigilanza (in primis la FINMA) si viene tuttavia a creare anche un considerevole margine di manovra, con la possibilità di intervenire quindi con un approccio lungimirante in scenari di perdita di fiducia. Nel caso di Credit Suisse, i segnali di perdita di fiducia si moltiplicavano già da diverso tempo, e sarebbe quindi necessario fare chiarezza sulle esatte modalità con cui la FINMA e il management di Credit Suisse hanno gestito questi sviluppi.

Come deve essere valutato il bank run del Credit Suisse?

Il pericolo insito nelle corse agli sportelli (bank run) e la loro dinamica spiraliforme e autoalimentante sono noti ormai da tempo. Un elemento di novità, corroborato anche dall’esempio di Credit Suisse, è invece la rapidità con cui queste reazioni si verificano grazie alla digitalizzazione, abbinata alla diffusione pressoché istantanea di informazioni attraverso i social media in sinergia con i media tradizionali. Al giorno d’oggi un bank run può verificarsi in qualsiasi momento in modalità digitale e raggiungere subito dimensioni preoccupanti. Si configura così una situazione di partenza completamente nuova. Al contempo, tuttavia, per una banca ben gestita con un modello d’affari sostenibile il rischio di un bank run è esiguo; una corsa agli sportelli può quindi colpire qualsiasi istituto in maniera estremamente repentina e veemente, ma quasi mai si tratta di un fulmine a ciel sereno e i segnali prodromici sono sempre ben evidenti. In questo contesto, la fiducia in una banca e nel suo top management svolge a sua volta un ruolo chiave. Il verificarsi stesso e l’intensità di un bank run non sono pertanto da considerarsi come causa, bensì come conseguenza di una crisi di fiducia che ha raggiunto un punto critico.

Che ruolo hanno gli eventi negli USA?

Il rapido innalzamento dei tassi d’interesse come conseguenza del forte aumento dell’inflazione negli Stati Uniti e in Europa ha comportato in generale un miglioramento della situazione reddituale per gli istituti focalizzati tra l’altro sul segmento delle operazioni sulle differenze di interesse, accrescendo quindi nel complesso la capacità di resistenza delle banche. Per gli istituti con palesi carenze a livello di gestione del rischio di tasso, questo scenario ha tuttavia provocato un vero e proprio tracollo – in primis per la Silicon Valley Bank e per ulteriori banche di media grandezza statunitensi. In un contesto di nervosismo generale, le notizie sui problemi acuti di questi istituti hanno fatto montare il rischio sistemico di una crisi finanziaria globale, soprattutto a cavallo del fine settimana dell’11 marzo 2023. Per le banche come Credit Suisse, per il quale la fiducia nel relativo modello d’affari era già pesantemente intaccata, lo scenario economico è quindi divenuto molto più difficoltoso in maniera estremamente repentina. A ciò si è sommato il fatto che domenica 12 marzo le autorità statunitensi avevano annunciato che tutti i depositi bancari sarebbero stati garantiti, in particolare presso gli istituti americani in difficoltà e non solo. Mentre questa notizia è riuscita in una certa misura a calmare temporaneamente le acque nel settore bancario statunitense, la pressione su Credit Suisse e su altri istituti è aumentata ulteriormente.

Cosa significa questo per la regolamentazione?

Abbiamo bisogno di requisiti patrimoniali più elevati?

I requisiti svizzeri in materia di fondi propri nei confronti delle banche di rilevanza sistemica, già in linea con gli standard internazionali, risultano particolarmente rigorosi nel confronto con le altre piazze finanziarie rilevanti; inoltre, con l’adozione di Basilea III verranno ulteriormente innalzati. Vanno altresì evidenziate in particolar modo le disposizioni più che proporzionali applicabili per gli istituti di rilevanza sistemica, che soprattutto per quanto concerne il leverage ratio sono molto più stringenti rispetto a quanto avviene in altri Stati esteri con caratteristiche comparabili.

Nel suo ultimo rapporto di valutazione anche il Consiglio federale ha giudicato come adeguati i requisiti svizzeri posti alla dotazione di capitale delle banche sistemicamente rilevanti. In particolare, dal raffronto internazionale evidente che i requisiti posti alla capacità totale di assorbimento delle perdite («Total Loss Absorbing Capacity», TLAC) delle grandi banche svizzere rispetto a istituti comparabili di Unione europea, Regno Unito e Stati Uniti devono essere classificati nel complesso come elevati, soprattutto per quanto concerne il leverage ratio.

Un comodo cuscinetto di fondi propri rafforza infatti la capacità di assorbimento delle perdite e in simili evenienze riduce il rischio di episodi di bank run, oltre a migliorare la situazione di partenza per eventuali ulteriori provvedimenti come una resolution o un rilancio (turnaround). In questo contesto è degno di nota che sia stata proprio la solidità della capitalizzazione di UBS, integrata dai provvedimenti di BNS e Confederazione, a rendere possibile con successo la prevenzione di una crisi a livello nazionale svizzero e di un effetto domino su scala internazionale. Per UBS trovavano peraltro applicazione le stesse regole vigenti per Credit Suisse, ed evidentemente anche dopo l’acquisizione di quest’ultimo il mercato giudica UBS come sufficientemente solida per poter fare fronte a una simile operazione. Questa constatazione è estremamente indicativa circa l’adeguatezza degli attuali requisiti normativi e dell’approccio verso gli stessi improntato alla responsabilità. Le garanzie statali di liquidità e contro le perdite costituiscono importanti misure di accompagnamento per stabilizzare ulteriormente la situazione in una fase di transizione. Una buona dotazione di fondi propri è quindi essenziale, in quanto crea margini di manovra e consente di guadagnare tempo per la gestione e il superamento delle crisi, come evidenziato dal recente esempio di UBS; tuttavia essa non offre mai una protezione completa dalle crisi, soprattutto se il modello d’affari non risulta sostenibile e la gestione del rischio non è solida, come mostrato per converso dall’esempio di Credit Suisse.

Quali sarebbero le conseguenze di requisiti patrimoniali più severi?

Nel contesto dell’economia complessiva è essenziale essere consapevoli che innalzamenti sostanziali dei requisiti in materia di fondi propri produrrebbero effetti tangibili sull’economia reale, con una rarefazione involontaria del credito a causa della riduzione dei volumi e dell’aumento dei costi. Da una stima elaborata dall’ASB in collaborazione con i suoi membri emerge che, ad esempio, un innalzamento degli attuali requisiti di leverage ratio al 15% senza ulteriori variabili comporterebbe un incremento dei costi di credito fino a un punto percentuale, e a fronte dell’attuale base dei tassi d’interesse ciò si tradurrebbe in un aumento dei costi di credito fino al 50%. A seconda della situazione di mercato, questi oneri si ripercuoterebbero sull’economia complessiva in diversa misura, ma in ogni caso con implicazioni negative, e anche le ipoteche ne finirebbero per risentirne. Un ulteriore aumento significativo dei requisiti in materia di mezzi propri non costituisce quindi una misura efficace sotto il profilo macroeconomico, in quanto peraltro non affronta le cause della presente crisi; manca del tutto il bersaglio e intacca il compito economicamente rilevante delle banche, con effetti corrispondenti sull’erogazione creditizia nel tessuto economico e quindi sul livello di benessere generale. Inoltre non è possibile escludere una deriva di parti di queste attività verso ambiti non regolamentati, con un possibile ulteriore aumento dei rischi sistemici.

È necessario un ulteriore sviluppo della regolamentazione TBTF ("too big to fail")?

Il quadro normativo in materia di Too Big To Fail (TBTF) ha superato il test della realtà sotto alcuni aspetti essenziali. Definire il regime TBTF come sostanzialmente inefficace non sarebbe pertanto corretto. Elementi essenziali del repertorio di strumenti TBTF (requisiti di liquidità, strumenti di capitale per l’assorbimento delle perdite, requisiti strutturali, lavori preparatori sul piano operativo) hanno infatti contribuito affinché sia stato possibile contenere con successo il rischio sistemico causato da Credit Suisse, per quanto le autorità non abbiano optato per una resolution dell’istituto; all’interno del regime normativo attuale, la Confederazione ha inoltre un certo margine di manovra per sostenere un’alternativa più opportuna sotto il profilo economico rispetto ad esempio a una resolution – ed è proprio ciò che è accaduto. La vendita della banca costituisce quindi un’opzione valida e praticabile. Alla luce delle circostanze contingenti, l’acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS è stata infatti considerata anche da tutte le parti coinvolte come la soluzione più efficace per evitare il tracollo dello stesso Credit Suisse e sventare al contempo la concreta minaccia di un effetto domino a livello internazionale. Per quanto praticabile e attuabile, una procedura di resolution in chiave TBTF non è stata pertanto considerata come opzione prioritaria in quanto con l’acquisizione da parte di UBS, integrata con opportune misure delle autorità, risultava disponibile un’alternativa nettamente migliore per l’intera economia nazionale.

Sono necessarie misure sulla remunerazione variabile?

Un sistema di remunerazione efficace onora le prestazioni delle collaboratrici e dei collaboratori e crea così incentivi in termini di produttività a lungo termine, efficienza e servizio ottimale per la clientela, nel pieno interesse di tutti gli stakeholder coinvolti. Tale sistema instaura inoltre incentivi per una gestione responsabile dei rischi, evitando comportamenti rischiosi troppo pronunciati. Nel perimetro di un simile sistema di retribuzione rientrano anche le remunerazioni variabili, applicate correntemente in tutti i settori dell’economia. Se tuttavia un’azienda registra un andamento negativo degli affari (perdita iscritta a bilancio), la corresponsione delle remunerazioni variabili deve essere limitata al minimo, come formulato anche proprio nella Circolare FINMA 2010/1 «Sistemi di remunerazione», in combinato disposto con numerosi altri principi determinanti in relazione a fattori quali il sistema di remunerazione come insieme complessivo, le responsabilità, ecc. La Circolare FINMA contiene quindi già oggi un ventaglio completo di principi rilevanti e idonei. Dai propri membri l’ASB si attende pertanto un orientamento conforme alle disposizioni della Circolare FINMA. Ciò vale in particolare per i requisiti posti verso l’assunzione condivisa delle perdite e l’orientamento sostenibile dell’azienda. In questo contesto l’ASB presuppone altresì che i propri membri recepiscano e rispettino i principi formulati nello «Swiss Code of Best Practice for Corporate Governance».

A seguito dell’andamento negativo del corso dell’azione Credit Suisse, il personale dell’istituto ha accusato perdite sulle remunerazioni variabili differite complessivamente per oltre due miliardi di franchi, pari a una riduzione di quasi l’80% di questa componente retributiva. Nell’ambito dell’acquisizione di Credit Suisse, il Consiglio federale ha inoltre deciso di annullare le remunerazioni variabili differite del top management dell’istituto in maniera integrale (Consiglio direttivo) oppure parziale (primo e secondo livello successivo di dirigenza). Questa misura riguarda oltre mille collaboratrici e collaboratori di Credit Suisse a livello mondiale. Tuttavia, e nonostante i termini di blocco già notevoli sulla scorta delle disposizioni della Circolare FINMA, determinati dirigenti che avevano lasciato Credit Suisse prima dell’acquisizione dell’istituto non sono più colpiti sotto il profilo finanziario, o almeno non nella stessa misura. Il funzionamento del sistema di remunerazione non necessariamente va quindi a impattare su coloro i quali risultano causalmente responsabili per i problemi, soprattutto laddove la fluttuazione del personale è elevata. In questo senso, Credit Suisse è stato obbligato anche dal Consiglio federale a prendere in esame la possibilità di procedere a una richiesta di rimborso delle remunerazioni variabili già corrisposte ai membri del Consiglio direttivo, presentando poi un rapporto circostanziato a riguardo alle autorità competenti. Da tale rendicontazione devono essere poi tratte le opportune conclusioni.

Ai fini di un sistema di remunerazione efficace, è in ogni caso essenziale che i livelli retributivi rispecchino anche con un elevato grado di granularità il rapporto tra assunzione dei rischi e proventi generati, tenendo al contempo in debita considerazione i costi sostenuti. Attualmente resta ancora da chiarire la misura in cui sussiste un fabbisogno d’intervento a riguardo. In questo senso non è tuttavia sufficiente considerare soltanto il sistema di remunerazione in quanto tale, bensì occorre esaminare con attenzione come maturano le cifre che confluiscono nel processo di retribuzione.

Perché l'SBA è favorevole a un modello di banca universale?

L’idea di un sistema bancario separato era già stata analizzata e presa in considerazione dopo la crisi finanziaria del biennio 2007/08, ma ai tempi era stata scartata in quanto non era stato possibile dimostrare tangibilmente che un approccio del genere avrebbe apportato maggiore stabilità per il sistema finanziario. Ad esempio, Lehman Brothers operava solo come banca d’investimento, mentre la Silicon Valley Bank era una pura banca commerciale (senza attività di investment banking). Nella crisi bancaria degli anni ’90 dello scorso secolo era stato peraltro proprio l’investment banking a conferire stabilità alle banche universali svizzere, mentre le attività retail versavano in gravi difficoltà. L’affermazione secondo cui una separazione a livello organizzativo delle attività operative renderebbe nel complesso più sicuro il sistema finanziario e lo proteggerebbe dalle crisi di singoli istituti non è quindi assolutamente pertinente. Al contrario: il modello di banca universale contempla indubbi vantaggi di stabilità sotto forma di maggiore diversificazione e, nel caso di una separazione dei vari rami, proprio tali vantaggi verrebbero sacrificati senza evidenti vantaggi in contropartita.

Il profilo di rischio di una banca non è inoltre determinato semplicemente dai campi d’affari in cui essa è attiva, bensì dalle operazioni specifiche che vengono effettuate nonché dai correlati crediti e impegni assunti dall’istituto. L’oggetto di una regolamentazione appropriata deve essere quindi incentrato sul profilo di rischio e non sul settore di attività, come del resto avviene già oggi. Da una prospettiva sistemica, un elemento decisivo è inoltre il fatto che l’attività operativa deve orientarsi con coerenza alle esigenze della clientela e che i rischi devono essere opportunamente delimitati, comunicati in modo trasparente e tenuti sotto stretto controllo.

Il modello di banca universale offre molteplici vantaggi proprio in questo senso e proprio per la clientela. Un’attività diversificata sul mercato dei capitali è infatti nell’interesse della piazza economica. Quando hanno a che fare con una banca universale integrata, le aziende possono infatti attingere a un ventaglio ampio e diversificato di prestazioni. Se inoltre le attività di investment banking non possono essere offerte né internamente, né tantomeno esternamente a un istituto operativo in Svizzera, a subire notevoli pregiudizi sono proprio quei clienti bancari che più necessitano di tali prestazioni. L’accesso delle aziende ai mercati dei capitali internazionali dipenderebbe infatti completamente dall’estero. Il mantenimento di una banca universale svizzera attiva su scala globale contribuisce quindi in misura sostanziale allo spessore internazionale e alla concorrenzialità dell’intera economia svizzera, oltre a garantire anche la disponibilità di importanti servizi per altre banche. Un mercato finanziario ampio e diversificato, con diverse categorie di attori di varie dimensioni e con carattere di banca universale, è di rilevanza elevata sia per l’intero tessuto economico, sia anche per la stabilità sistemica. A tale riguardo è tuttavia importante che l’investment banking sia orientato al core business della singola banca e venga strutturato con coerenza in funzione delle attività della clientela.

Il ruolo delle autorità

L'interazione tra la BNS e la FINMA ha funzionato?

Come già accennato, il mercato finanziario aveva individuato i problemi di Credit Suisse già diversi anni prima del tracollo, e le difficoltà relative a governance e modello d’affari hanno origini ancora più remote. Per tracciare un quadro sufficientemente esatto del modo in cui le autorità competenti avevano valutato la situazione di Credit Suisse, avevano collaborato ed erano intervenute, è quindi necessario prendere in considerazione un arco temporale piuttosto esteso. In ogni caso, al più tardi da ottobre 2022 la situazione di Credit Suisse doveva essere giudicata come critica. Al contempo, tuttavia, la decisione di acquisizione di Credit Suisse da parte di UBS ha dovuto maturare in tempi ridottissimi. Ad oggi resta aperta la questione se le autorità abbiano agito per tempo per individuare i fatti necessari alla preparazione e alla gestione di questa crisi e per valutare le possibili opzioni di intervento.

Nel caso di una banca di rilevanza sistemica che si trova in difficoltà, congiuntamente a una situazione di forte nervosismo sui mercati finanziari globali, aumenta il rischio sistemico e, di pari passo, anche la responsabilità della BNS. La Banca nazionale è infatti depositaria della responsabilità per la stabilità dei mercati finanziari, e in caso di crisi è la sola a disporre dei mezzi economici sufficienti per arginare con efficacia gli incombenti rischi sistemici. Dall’esterno è difficile stabilire in quale misura questa responsabilità, da interpretare in chiave dinamica in seno all’interazione costante tra BNS e FINMA, presenti un potenziale di ottimizzazione. Lo stesso vale anche al fine di determinare quale autorità di vigilanza disponga in quale momento di quali diritti di intervento e strumenti (ovvero possa, debba o dovrebbe applicarli). Questo aspetto comprende anche la comunicazione verso il pubblico. Allo stesso modo resta aperta la questione sulla tempistica con cui la FINMA ha preso in considerazione o rigettato quali misure per l’attivazione degli strumenti TBTF, e per quale motivo ha agito così.

La FINMA ha un potere di enforcement sufficiente?

Le dichiarazioni della FINMA secondo cui essa non sarebbe stata in grado di produrre sostanziali correzioni di rotta da parte di Credit Suisse anche dopo numerosi procedimenti di enforcement sollevano domande sul reale potere impositivo dell’autorità di vigilanza e sui mezzi effettivamente a sua disposizione. Non sussistono segnali tali da indicare la necessità di ampliare complessivamente il ventaglio di strumenti della FINMA nel settore bancario; proprio per gli istituti senza rilevanza sistemica la FINMA sembra peraltro impiegare con estrema efficacia il proprio repertorio di strumenti. Segnatamente nel caso di Credit Suisse sembra invece che ci siano stati palesi limiti a livello di attuabilità o di assertività.

Gli indicatori di mercato dovrebbero essere inclusi nel lavoro di vigilanza?

Quando il valore di mercato di una banca si colloca sistematicamente e in misura netta al di sotto del valore contabile, si è in presenza sia di una chiara mancanza di fiducia degli investitori verso il modello d’affari della banca, sia di una sua possibile condizione di fragilità. In una situazione del genere è essenziale intervenire per tempo, prima che il rischio sistemico aumenti eccessivamente. Per questo motivo le autorità competenti devono essere in grado di individuare in maniera tempestiva simili sviluppi e considerarli opportunamente nel loro lavoro. Se i tempi si allungano troppo, scema la possibilità di una soluzione di mercato, mentre il rischio sistemico cresce ancora di più. L’andamento del corso azionario e poi dei premi per i credit default swap di Credit Suisse avevano in realtà messo in luce questa circostanza già da diverso tempo. Appare quindi evidente che fattori quali l’andamento degli affari, la complessità aziendale interna, la reputazione, i rischi legali e la capacità del management di attuare opportuni correttivi dovrebbero rivestire un ruolo molto più rilevante nelle stime della vigilanza. In linea di principio deve essere chiaro che soltanto un ventaglio ampio e diversificato di molteplici indicatori e informazioni trasmette un quadro sufficientemente completo sullo stato di salute di una banca; per quanto un singolo parametro fornisca segnali importanti, invece, proprio a causa della sua semplicità passano in secondo piano aspetti potenzialmente rilevanti. Un parametro come il leverage ratio contemplato dalle norme vigenti, ad esempio, appare relativamente accattivante nella sua semplicità, ma proprio questa linearità fa sì che rischi analoghi possano tradursi in valutazioni nettamente diverse, oppure che il coefficiente venga distorto da posizioni prive di rischio. La pertinenza del leverage ratio preso a sé in modo isolato è quindi limitata. Questo coefficiente dovrebbe essere quindi sempre considerato in combinazione con il Tier 1 Ratio ponderato per il rischio. Inoltre, i dati e le informazioni sui mercati finanziari possono fornire elementi sulla solidità di un modello d’affari o della gestione del rischio di una banca e costituiscono pertanto importanti integrazioni a livello quantitativo e qualitativo per i parametri regolamentari e per l’attività di vigilanza in generale.

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